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C’è un codice che sta facendo impazzire Internet e questa volta Leonardo Da Vinci non c’entra niente. Ieri (1°maggio), mentre i lavoratori di tutto il mondo si univano per rivendicare i propri diritti, gli utenti della comunità online Digg si sono coalizzati e nel giro di poche ore sono riusciti a creare un caso mondiale attorno a una stringa alfanumerica di trentadue caratteri. E’ una storia lunga, dai connotati informatici altamente specialistici (e quindi distanti dal 99% della popolazione del pianeta), che tuttavia aiuta a comprendere i meccanismi di relazione sociale e di circolazione delle informazioni che stanno alla base di quell’immenso e straordinario mondo a sé che è Internet.
 

Tutto ha inizio più di due mesi fa, quando su un forum dedicato alla conversione dei formati dvd viene pubblicato un codice che aiuta a decriptare i dischi HD DVD, una delle due famiglie di dvd ad alta definizione che l’industria dell’intrattenimento sta tentando di diffondere sul mercato (l’altra è il Blu-ray).
Semplificando molto, la scoperta del codice apre una prima falla nel sistema di protezione dei dischi. Una breccia attraverso la quale si può arrivare a riprodurre e duplicare i film in HD DVD, aggirando le limitazioni e i dispositivi anti-copia inseriti dalle case di produzione cinematografica. L’ennesima prova della debolezza delle protezioni tecnologiche su un supporto digitale.
Ovviamente, la notizia fa il giro del mondo. Se ne parla nei forum di hacker, sui giornali specializzati, ma anche sui siti più generalisti. I gestori dei sistemi di protezione HD DVD si mettono al lavoro per cambiare i codici e limitare i danni. E tutto sembra finire lì, in attesa della prossima violazione.
Ieri, però, un utente di Digg decide di riaprire il vaso di Pandora e pubblica il codice incriminato. Digg è un aggregatore di news, fortemente basato sul concetto di comunità. Sono gli utenti stessi a segnalare le notizie (andandole a pescare su siti di tutto il mondo), a valutarle, a farle salire di importanza, fino a raggiungere l’ambitissima prima pagina.
Rispetto a un piccolo forum sulla conversione dei dvd, Digg ha tuttavia una caratteristica non di poco conto: è uno dei siti più visitati del cyberspazio. La sua comunità conta su diverse migliaia di iscritti e le notizie che finiscono sulla sua homepage diventano automaticamente di rilevanza globale, venendo spesso riprese dai maggiori siti d’informazione. Se Wikipedia è la prima enciclopedia collettiva del Web, Digg è la prima agenzia stampa collettiva.
Una visibilità seccante, devono aver pensato i produttori cinematografici e i responsabili del consorzio HD DVD. Qualcosa contro cui bisogna correre ai ripari. Al punto da mettere mano al computer e spedire una email ai proprietari di Digg, invitandoli a cancellare immediatamente il codice incriminato dal sito, per evitare ripercussioni legali.
I fondatori di Digg obbediscono. Ed è l’inizio della rivoluzione. Appena l’articolo con il codice scompare dal sito e il suo autore viene “espulso”, l’intera comunità si imbizzarrisce. Il passaparola vola rapido sulle autostrade digitali, coinvolge utenti sparsi un po’ ovunque e provoca la reazione più consona a Internet: la moltiplicazione.
Su Digg iniziano a comparire centinaia di articoli che riproducono il codice della discordia, al punto che lo stesso fondatore del sito, Kevin Rose, dopo un po’ passa dalla parte degli insorti e lo pubblica sul suo blog. Ma non basta. Perché quando la voce raggiunge la blogosfera, la duplicazione diventa ancora più rapida e capillare, al gioco partecipano anche giornali e siti di news. C’è persino chi scrive una canzone in cui snocciola le cifre del codice e la distribuisce su YouTube.
Risultato: nel momento in cui scriviamo questo articolo, Technorati elenca 305 blog che riproducono il codice e Google addirittura oltre trentamila siti. La morale della favola appare abbastanza evidente: è difficile, se non impossibile, cercare di bloccare la circolazione di informazioni su Internet. Se poi si prova a farlo attraverso le famigerate e minacciose lettere di “cease and desist”, dando l’impressione alle comunità online di voler limitare la loro libertà di espressione, di solito si ottiene esattamente l’effetto opposto.

 

LUCA CASTELLI

Fonte: La Stampa

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